Nella mia bolla social ho visto sventolare spesso la necessità di trattare i videogiochi da un punto di vista politico, e al netto di qualche riserva non sono in disaccordo. Il problema è che questa "politica dei videogiochi" porta con sé una serie di prassi, di atteggiamenti, di idee che mi sembra il caso di mettere in discussione. E provo a farlo senza essere politico, senza tanti giri di parole, senza parate di culo, su questo nostro blog informale, usando un italiano che fa un po' quello che vuole, con tutto il garbo di uno che ha finito la pazienza, ma non le convinzioni.
Andiamo per punti, visto che mi sembra uno di quei casi in cui la chiarezza vale più della bella prosa.
1) Tutti parlano di politica.
Ho letto più volte che bisogna (vale a dire "noi dobbiamo") educare il pubblico a leggere i videogiochi politicamente. Perché noi siamo quelli intelligenti, che ci hanno pensato e che hanno capito; gli altri invece, quelli scemi, non ci sono ancora arrivati, stanno ancora parlando della grafica e del gameplay, e hanno bisogno che noi siamo per loro un faro nelle tenebre. È inutile che ci prendiamo in giro, questo paternalismo, più o meno nascosto, c'è ed è inevitabile. Io penso che sia oscenamente fuori luogo, per una ragione (tra le altre) molto semplice: tutti ragionano di politica, tutti parlano di politica. Da diversi punti di vista, con diversi retroterra ideologici, con diversi strumenti dialettici, ma tutti parlano di politica, perché tutti sono consapevoli dell'esistenza di questioni riguardanti la vita pubblica di una comunità. Ne parla il tredicenne che si gasa coi video di QDSS e ne parla quello che si è laureato con una tesi sull'impatto comunicativo del conflitto ucraino sulla grafica dei Pavesini. La contrapposizione tra i pensatori dal cipiglio grinzoso e i ragazzini che vogliono stare senza pensieri, è una favola che serve solo e soltanto a nutrire l'ego dei primi. Il problema non è che il pubblico (qualunque cosa sia) non pensa politicamente. Il problema è che nutre altre idee politiche, non necessariamente meno buone, non necessariamente meno acute delle vostre, oppure ha un'altra idea dell'applicabilità di riflessioni politiche a roba come Kirby o The Last of Us.
E io lo so, mica non lo so, che il cervello di qualcuno di voi qui ha già sgommato, pensando "eccolo, dice che bisogna tenere la politica fuori dai videogiochi, è uno di quelli là".
Che palle.
Penso che finché non ci capiamo su questo, non andiamo da nessuna parte. Non mi interessa quanto vi sentiate importanti a cliccare "pubblica" da un profilo social, un blog o un sito web, non siete l'avanguardia di uno stracazzo di niente.
2) Politica non significa quello che voi pensate che significhi.
A me piace molto, quando si affronta un problema verbale, chiarirmi innanzitutto sul significato delle parole su cui quel problema si fonda. Perché avoja a parlare di politica, se ognuno con "politica" intende una cosa diversa. Politica è l'impegno per costruire un mondo migliore, politica è ciò che è paraculo, ciò che è disonesto, politica è un interesse di classe, politica è un anatema per definire ciò che non piace, politica è un'aria vuota con cui si tenta di imbonire una folla, politica è la prassi amministrativa e legislativa degli articoli, dei commi e dei bollettini...
Spoiler: dire che bisogna tenere la politica fuori dai videogiochi è tanto "politico" quanto lo è dire il contrario. Ogni volta che dite che è necessario parlare politicamente di videogiochi, io leggo: "è necessario che gli altri pensino quello che penso io". Vale a dire che "parlare di politica" diventa "porre determinate questioni morali solo e soltanto nei termini che piacciono a me, senza che se ne debba discutere la bontà o l'applicabilità". Perché discuterne la bontà significa essere fascisti, mentre discuterne l'applicabilità significa essere ignavi.
Vogliamo fare lo sforzo di capire che dietro il "fuori la politica dai videogiochi" non c'è solo l'espediente retorico del tizio che in qualche modo deve mascherare la propria omofobia? Perché c'è anche la stanchezza verso un'industria dell'intrattenimento ipocrita e paternalistica, c'è l'insofferenza verso critiche pretestuose fatte solo per generare interazioni social e incipriarsi il nasino con qualche like, c'è l'intolleranza verso polemiche costruite e propagate da chi non ha completato o magari neanche avviato il videogioco su cui pretende di polemizzare, da chi nient'altro vuole che gasarsi un po' di essere nel giusto, in antagonismi social che ha inventato di sana pianta solo per solleticarsi un po' le palle con le solite, squassanti uscite da troll inesorabilmente riproposteci in tutta la loro sterile vanità. Oppure si tratta di semplice disaccordo. Non sul diritto alla vita o sulla parità di genere, ma sulla bontà argomentativa dell'interpretazione, molto spesso mossa in termini astrattissimi, di un cazzo di videogioco.
Tutto questo non è rifiuto della politica: è politica, ed è anche politica che forse ha fatto qualche passo in più, o svolazzato meno. Scendete dal trespolo infame che avete eletto a simbolo della vostra superiorità culturale e fateci i conti, una buona volta.
3) La verità non è subalterna alla logica delle parti.
Mi sembra chiaro quanto sia ridicola la sola idea che un videogioco, magari neanche mai avviato, un videogioco che non si conosce, diventi lo spartiacque politico tra bene e male. Eppure mi è anche capitato di leggere che non è davvero importante la qualità di un'argomentazione "politica": ciò che conta è che quell'argomento sia inquadrabile, più o meno arbitrariamente, in un movimento di emancipazione, vale a dire nella vaga sembianza di uno spettro ideologico che scegliamo di identificare come affine. Puoi anche scrivere cazzate fotoniche dalla mattina alla sera, essere dei nostri è più importante che dire la verità. Perché se ci dai torto, anche se abbiamo torto, stai dando ragione agli altri. E questo non è ammissibile.
Forse pecco di romanticismo, ma io resto convinto, proprio in quanto comunista, che si possa distinguere il vero dal falso, e che si debba sempre dire la verità. Tutta, fino in fondo. Proprio in quanto comunista, credo di dover essere critico delle ideologie e delle narrazioni. Non me ne importa assolutamente nulla se qualcuno teme che la verità possa fare il gioco retorico dei nostri avversari (chiunque essi siano), non è comunque un buon motivo per tacerla. Non è possibile che ogni cosa, anche le cose più triviali, anche quelle che non hanno nessun impatto reale sulla qualità della vita di nessuno, possano trasformarsi in una barricata social che esige una presa di posizione. Perché una volta che "noi" e "loro" sono in ballo, non si può prescindere da questa logica delle parti, anche se nessuno sa di preciso quali siano queste parti, anche se nessuno sa davvero di cosa sta parlando, perché è più interessato a polemizzare che a conoscere.
Nel momento in cui alcuni giorni fa, su Twitter, qualcuno ha deciso che apprezzare la Crociata Scarlatta è da nazisti, la questione si è posta come uno spartiacque inevitabile tra nazisti e, immagino, buoni. Su una fazione di World of Warcraft. Ma davvero bisogna perdersi in 'ste minchiate?
Anche perché, a costruire polemiche per aria, che non hanno bisogno di essere riconducibili al testo, che non devono necessariamente dire la verità, che non devono fondarsi sulla più remota parvenza di rigore argomentativo, siamo capaci davvero tutti. Anche i nostri "avversari", si è visto più volte.
4) Ma chi siamo "noi"? E chi sono "loro"?
Io non mi sono mai iscritto a un partito, più per paura degli accolli che per mancanza di convinzione, ma posso dire con sicurezza di essere comunista. Vale a dire che un bel giorno ho letto Marx, Engels, Lenin, Gramsci, Stalin, Mao (e così via) e ho avuto l'impressione di aver capito qualcosina su come si potrebbe fare a rendere il mondo un posto un po' migliore. Questo significa che penso che i cambiamenti storici sono dettati da fattori materiali strutturali, che il cambiamento è il risultato di contraddizioni che innescano continui processi trasformativi, che nessuna sintesi è perenne, o più semplicemente che si potrebbe magari costruire una società più giusta e libera, o comunque ragionevolmente giusta e libera, tramite la democratizzazione del lavoro, la proprietà collettiva dei mezzi di produzione, l'antimperialismo, e così via. Poi non ho mai pensato che questo mi impedisse di confrontarmi con persone tutt'altro che comuniste, di essere loro amico, di volere loro bene, di rispettarle anche da un punto di vista politico, anche nel disaccordo. Ma visto che stiamo giocando al gioco delle parti, la domanda mi pare inevitabile: chi siamo "noi"?
Lo chiedo perché non credo di aver mai letto un'opinione su un videogioco esordire con "in quanto comunista, penso che...", anzi, non credo di aver quasi mai sentito qualcuno nell'ambiente dire "io sono comunista", e ho la netta impressione che una grandissima parte delle questioni morali che imperversano nel mondo social intorno ai videogiochi abbiano connotati più che altro liberali, che rappresentino un processo di assimilazione e di neutralizzazione di argomenti emancipativi, per reinquadrarli in una logica di vendibilità delle informazioni sui social network. Per dirla in soldoni, Twitter non è un campo di battaglia, è una vetrina, e queste sono solo fregnacce fatte per farvi incazzare sui social. Potete ben ripetervi che non giocare a Hogwarts Legacy sia attivismo: non lo è. È una scelta morale comprensibile nell'ottica di un rifiuto emotivo, ma del tutto incongruente, che nel migliore dei casi serve a mettervi a posto la coscienza, e nel peggiore a farlo vedere agli altri. Ma non è inquadrabile in una logica di lotta di classe, non serve a migliorare le condizioni di vita materiali di nessuno, né nobilita in qualche modo il discorso sui videogiochi.
Di sicuro, qui, non c'è nessun "noi". Non c'è nessuna ragione per cui una giornalista trans dell'Oregon dovrebbe essermi più politicamente affine di chiunque altro, a meno di non scivolare in una feticizzazione della sua identità di genere, ed è anzi molto probabile che sia piuttosto distante da me, nel momento in cui scrive su una rivista che ha sponsorizzato la candidatura di Hillary Clinton.
5) A un certo punto ricordatevi anche di parlare di videogiochi, se ve ne frega davvero qualcosa.
Perché in tutto ciò, tra riviste specializzate che sembrano dei cartelloni pubblicitari, e giornalisti "antagonisti" interessati al contesto culturale, al discorso pubblico, ai movimenti del settore, alle analisi di mercato e altre fregnacce immateriali, di videogiochi chi parla? Mi viene quasi voglia di istituirlo lì, un "noi": noi a cui ancora frega qualcosa dei pulsantini colorati che fanno illuminare i pixel, che forse, se tutto va bene, ci fanno divertire, ci fanno pensare, ci insegnano qualcosa.
Noi maggioranza, insomma.
Perché è ovvio che si possa parlare politicamente di videogiochi, graziarcazzo che si può fare. Quindi, perché non farlo? Perché non trattare politicamente del contenuto semantico dei videogiochi dopo averci giocato a fondo, dopo averli finiti e strafiniti, dopo aver compiuto uno sforzo interpretativo per comprenderli?
Ma ve lo immaginate uno che vuole nobilitare il discorso pubblico sulla letteratura, e per farlo si mette a palleggiare opinioni sui social parlando di tutto tranne che dei testi?
Capisco che, per finire i videogiochi, quelli devono effettivamente interessarti e piacerti, capisco che parlarne dopo averci riflettuto abbastanza significa perdere il treno delle interazioni, e capisco anche che non c'è bisogno di dire la verità per solleticare le ideologie dei propri follower, ma almeno smettiamola di prenderci in giro, per favore.
Così, finalmente, dopo tante atmosfere di fiato sprecato a cianciare del vuoto siderale, potremo finalmente discutere del perché, ad esempio, l'accusa di antisemitismo rivolta a Hogwarts Legacy non ha il minimo senso. Del resto, alla fine, è vero che i videogiochi non sono fatti solo di gameplay, grafica e sonoro. Hanno anche dei significati, e non ne hanno altri.
Forse ne potremo parlare, quando ci avrete giocato, quando conoscerete l'ambientazione, quando avrete fatto capolino da dentro la trincea dei videogiochi, e vi sarete accorti di non essere sul fronte, bensì in un centro commerciale.
Forse, un giorno, chissà.
I gatti piacevano a Lenin, i cani a Hitler. Hogwarts Legacy è un videogioco comunista. Mi dispiace ma se non sei d'accordo con me vuol dire che forse sotto sotto sei un po' antisemita. |
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