Videogiochi persi nella traduzione

Dopo tanti anni di tira e molla, negli ultimi sei mesi mi sono messo a studiare giapponese con una buona costanza. È una lingua che mi ha sempre affascinato moltissimo, e riuscire finalmente a spiccicare qualche parola e a capire alcuni discorsi, nonostante i limiti del mio vocabolario, è una soddisfazione grandissima, anche perché buona parte dei prodotti culturali che mi interessano viene dal Giappone.

Peccato che a volte questo abbia comportato più frustrazione che piacere.
Ora, in sei mesi non si impara una lingua, al massimo si inizia a impararla, e sono perfettamente consapevole di quanto acerba e superficiale sia la mia conoscenza del giapponese. Tuttavia non serve un perito agrario per distinguere una mela da un'albicocca, e quel poco di giapponese che mastico basta e avanza per accorgermi di qualcosa che indirettamente già sapevo: spesso e volentieri le nostre traduzioni sono davvero tanto arbitrarie.
Non voglio dire brutte, perché il risultato può anche piacere, ma è come minimo strano sentire una frase e leggerne tutt'altra nei sottotitoli. Sarà capitato anche a chi non conosce per niente la lingua di sentire due suoni e vederli corrisposti da un paio di frasi stranamente lunghe, o viceversa, di ascoltare i personaggi che vanno avanti a parlare per un po', mentre i sottotitoli sono fermi sulla stessa frase.

Faccio un paio di esempi tratti da Dragon Quest XI per far capire cosa intendo, premettendo che non sono una cima e che qualsiasi correzione o precisazione è benvenuta.

Deve essere chiaro che per me Dragon Quest XI è puro amore, non voglio che alcune critiche prese ad esempio per un discorso più ampio finiscano con il dipingerne un'immagine negativa.

All'inizio del gioco il protagonista deve scalare un'altura con una sua amica, come parte di un rito per il passaggio all'età adulta. È una cosa che nel villaggio prendono tutti molto sul serio, in quanto dotata anche di una connotazione religiosa: si crede che lì risieda lo Spirito della terra.
Al momento di iniziare la scalata, la ragazza dice, dopo aver sottolineato l'importanza rituale del grande giorno e di quello che stanno per fare: "That craggy old thing won't climb itself", con l'italiano "abbiamo una montagna da scalare", evidentemente traducendo dall'inglese anziché dal giapponese, per rendere "行きましょう / ikimashō", cioè un semplicissimo "andiamo" esortativo.
In questo caso l'errore può sembrare una cosa di poco conto, e di certo non ha chissà quali grandi implicazioni, ma così Gemma ottiene un tono irrispettoso che non le appartiene affatto, contraddicendo la sua precedente reverenza. E dico "errore" perché è una frase inventata, assente dal testo originale.


Un altro esempio ancora più assurdo è quello del boss che in italiano si chiama Horus, e che in inglese è invece chiamato Gyldygga. Senza fare spoiler, si tratta di un nemico completamente dorato in una zona a tema vichingo, che agisce a nome, per così dire, di un personaggio femminile piuttosto avido.
In giapponese il nome del boss è 鉄鬼軍王キラゴルド, Tekigunō Kiragorudo, che a grandi linee dovrebbe significare "Generale demone di ferro Killgold", o qualcosa di simile.
L'inglese tenta di imprimergli una connotazione scandinava e fa un giochino di parole con "gold digger". Senonché lo stereotipo della donna che cerca di arricchirsi trovandosi un partner ricco, oltre ad essere secondo me di cattivo gusto, non c'entra proprio niente con il personaggio di Mia, che dovrebbe a questo punto descrivere.
La scelta italiana forse è ancora più incomprensibile: sembra che la divinità egizia sia stata scelta solo perché il suo nome in italiano suona simile alla parola "oro", ma a parte questo flebile collegamento è del tutto fuori tema.


Penso poi che chiunque, per fare un ultimo esempio, abbia come minimo notato qualche stranezza sui nomi, nel momento in cui la voce dice Kamyu e il sottotitolo scrive Erik. Perché? Sarà che è un personaggio legato ai vichinghi negli eventi del gioco? Ma la stessa storia stabilisce chiaramente che Kamyu/Erik non ha origini vichinghe...

Non voglio suonare troppo critico o rincorrere puntigli di scarsa importanza. Dragon Quest XI è divertentissimo anche in italiano, e qualcuno potrebbe anche giudicare questa resa più briosa e bella dell'originale. Lì va a gusti. Peraltro sto parlando di Dragon Quest XI solo a titolo d'esempio, perché è il videogioco cui sto giocando in queste settimane, ma leggerezze simili sono comuni un po' in tutti i videogiochi giapponesi.
Quello che mi infastidisce è più che altro l'approccio alla traduzione per cui il traduttore, facendosi manto della denominazione fittizia di adattatore, vale a dire investendosi del bizzarro compito di cambiare il testo per acconciarlo sulla cultura che lo riceve, finisca con il fare un po' quello che vuole. Io credo invece che una traduzione debba prima di tutto essere corretta, e cioè aderire quanto più possibile al testo originale, deviando da un'approccio letterale quel tanto che è necessario (se lo è) ad esprimere pienamente il contenuto semantico del testo, ma mai inventandoselo. Vero è che il traduttore non può essere invisibile, in qualche misura imprimerà sempre il proprio gusto e la propria cultura sul proprio lavoro, ma questa non deve diventare una scusa per abbandonarsi ad un arbitrio sfrenato.
Immagino che dietro la traduzione di prodotti che sono costati decine, se non centinaia di milioni di euro, ci siano dei professionisti, non certo traduttori amatoriali e impreparati come potrei essere io. Mi domando come sia possibile che a questi professionisti si accordino libertà e leggerezze da cui perfino un ignorante come me è infastidito.

Dev'essere chiaro che comunque, presa di per sé, la resa italiana di Dragon Quest XI è molto divertente e ricca di piccole e piacevolissime arguzie.

C'è anche un altro problema: quante volte si è sostenuta l'opportunità di criticare i videogiochi con tutta la serietà e l'attenzione che i vecchi media e il mondo del marketing non hanno mai accordato loro? Quante volte abbiamo letto o scritto critiche o teorie, interpretazioni che si reggevano sul filo di una sillaba, di un tono, di un sottotesto?
A me non piace l'idea di fare la classica reductio ad simplicitas, per cui bisogna prendere le cose così come sono, senza tentare di vederci alcunché di ulteriore. È uno sforzo bello e utile, se fatto con onestà e senza svolazzare troppo, e i videogiochi spesso se lo meritano. Ma è del tutto impossibile in partenza se le traduzioni che ci arrivano sono così arbitrarie, così fantasiose, piene zeppe di frasi intere inventate di sana pianta.
Come si fa a fare la critica dei contenuti politici di Final Fantasy VII, oppure dei legami sentimentali di Final Fantasy XV, o della dimensione etnologica di Dragon Quest XI, se quella che abbiamo sotto gli occhi è una traduzione fatta a sentimento, che potrebbe soffocare gli intenti degli scrittori e proporne di propri?

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