Il review bombing è lotta di classe

Pochi minuti fa ho letto che i cinesi ne hanno combinata un'altra delle loro. Le notizie sulla Cina ci arrivano sempre così: con una tonalità negativa e paternalistica, come di un padre severo che osservi dall'alto, mani sui fianchi e cipiglio aggrondato, la figlia che ha fatto cadere una crostata di ciliegie sul pavimento. Il che è in linea con una retorica colonialista secolare: guardate cosa fanno quei selvaggi, se solo non ci fossimo noi a inondarli con la parola di Dio, i nostri prodotti culturali, la nostra libertà economica e qualche ecatombe occasionale a fini strettamente didattici. In questo caso quindi la figlia è la Cina, il padre è un complesso mediatico filo-statunitense che ha passato gli ultimi settant'anni a tenerci caldi per la guerra, e la crostata non esiste.

Cosa è successo?

Nel nuovo Life is Strange: True Colors sventola una bandiera separatista tibetana, il che a quanto pare ha mandato su tutte le furie i videogiocatori cinesi, che per buona misura si sono dati al bombardamento di recensioni negative. Fin qui potrebbe sembrare, soprattutto ai nostri piccoli encefali occidentali, una ridicola quanto inquietante emanazione di fanatismo nazionalista, volta alla censura di tutti quei beni culturali che osino anche solo accennare una critica verso un regime oppressivo e dittatoriale. Non è così.

Questa maledetta bandiera

Il perno di tanti affanni non è un banale drappo di stoffa privo di alcun reale significato, ma una bandiera militare piuttosto recente (è stata disegnata nel 1916) che rappresenta le mire secessioniste del leader della vecchia teocrazia tibetana, nonché una lunga storia fatta di invasioni inglesi, ingerenze occidentali, tentati golpi militari. La bandiera esibita da Life is Strange non è la bandiera di una nazione legittima e indipendente, ma il simbolo del lungo progetto (inglese prima, statunitense poi) di smantellamento della Cina, nonché l'icona del regime feudale, classista e militarista del Dio-Re tibetano.


Chiunque conosca la storia cinese, foss'anche egli un ideologo anti-comunista, deve sapere e riconoscere che il Tibet è legittimamente cinese. Chiunque spinga in direzione contraria sta servendo una retorica colonialista e dando braccio a quel mantice occidentale che da decenni nutre in Cina le braci del fascismo.
Per tutte queste ragioni la bandiera tibetana è illegale in Cina. L'indignazione dei giocatori cinesi non è quindi una stravaganza fondamentalista, soprattutto se andiamo ad inserirla nel contesto di una guerra mediatica anti-cinese ancora in corso, i cui argomenti sono presenti in modo pervasivo nei prodotti culturali provenienti dal mondo atlantico. Volendo fare un paragone, è come se un videogioco esibisse la bandiera nazista per propagandare l'idea di una revitalizzazione del progetto coloniale dell'Asse. Qualsiasi essere umano di sani princìpi, soprattutto in quelle nazioni che subirono l'invasione nazifascista, inorridirebbe a buon diritto. È inconcepibile che i simboli dell'oppressione suscitino rabbia nei popoli che l'hanno subìta?

Ma quindi la censura?

Qualcuno dirà (qualcuno lo dice sempre) che quella degli utenti cinesi è una mania censoria, e che bisogna difendere la libertà di espressione da questi fanatici mangiabambini. A me viene spontaneo dubitare delle intenzioni di chi sceglie, tra tutte le cause possibili, la difesa di narrative reazionarie, ma il problema è in realtà un altro. Vale a dire che non è un problema. Non solo le recensioni su Steam sono ancora "very positive", ad ennesima dimostrazione che le destre frignano sempre oppressione anche quando sono in schiacciante maggioranza e detengono tutto il potere, ma si può anche difendere la libertà di espressione dell'utenza cinese? Le recensioni degli utenti, con tutti i loro limiti, sono uno strumento relativamente democratico. Non c'è nessuna ragione per cui a qualcuno dovrebbe dare fastidio che attraverso di esse si esprimano delle idee, a meno che non si dissenta da quelle idee. Il che ci riconduce alla narrativa anti-cinese.
La cultura non è un giardino di libertà post-ideologiche di cui noi possiamo sentirci eletti difensori, contro l'incombere delle invasioni barbariche. La cultura è un terreno di lotta ideologica, è fatta di scontri e di trazioni contrarie, nessuna delle quali è aprioristicamente più legittima delle altre: la tensione all'esibizione di un simbolo o alla sua rimozione. Il giudizio si compie nel merito del loro significato, del loro rapporto con le spaccature reali che attraversano la nostra società: in base alle informazioni in vostro possesso, sostenete la teocrazia tibetana? o la sovranità cinese?

L'Untersturmfuhrer Ernst Schafer si intrattene con alcuni dignitari tibetani mentre andava simpaticamente alla ricerca delle origini della razza ariana

Questi sono, senza possibilità di fuga in traballanti castelli di "però", i termini reali del dibattito, a questi minimi termini si riducono le polemiche: non sono altro che lotta di classe, in cui ognuno, chi scopertamente e chi ammantandosi di retorica, sceglie il proprio posto a destra o a sinistra della barricata.
Se mi è concessa una provocazione, in un contesto mediatico così ferocemente anti-cinese che anche le sinistre occidentali si abbandonano a narrazioni colonialiste, noterei che i giocatori cinesi stanno protestando contro un simbolo fascista e coloniale. I giocatori occidentali, d'altra parte, hanno dato mostra dei loro valori, con molto più successo peraltro, sommergendo di critiche i videogiochi con troppi personaggi gay.
È anche curioso che quando si tratta di Cina e delle sue rivendicazioni popolari, anche quella parte del pubblico occidentale che normalmente difende le istanze emancipative contro la favola della "cancel culture" e della censura buonista, qui ne abbraccia invece pienamente e senza riserve il linguaggio e le ragioni ideologiche. Le stesse modalità con cui vengono presentate queste notizie, con il chiaro fine di suscitare e di nutrire l'indignazione del pubblico, rafforzando e rivendendo le narrative dominanti, anziché criticarle, sono identiche a quelle che ormai da una buona decade nutrono le passioni del Gamergate.
Del resto che il proletariato dei paesi ricchi sia indebolito, nella propria potenzialità rivoluzionaria, da un certo grado di complicità con le proprie classi dirigenti in funzione colonialista, lo sappiamo da più di centocinquant'anni. E continua ad essere un problema.

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