Questo post purtroppo nasce da una discussione già aperta da tempo nelle comunità di videogiocatori ed essendo molto esteso non mi va di appesantirlo ulteriormente facendo un riassunto delle puntate precedenti. Spero comunque che sia comprensibile anche a coloro che non hanno seguito tutta la faccenda sin dall'inizio. Per semplicità dividerò il discorso in 4 argomenti: la sacralità dell'autore, l'oggettività della difficoltà, l'esperienza vera (o giusta) e il limite tra autorialità e accessibilità. In soldoni: ben venga il selettore della difficoltà, l'Autore e l'Esperienza sono importanti ma anche molto sopravvalutati.
La sacralità dell'autore
L'autore non è Dio, l'autore non è sacro, il videogioco non è una canzone e lo sviluppatore non è un cantautore. Miyazaki è la principale mente ma non è l'unica mente. Pensare che ogni scelta presente nei giochi di From Software sia farina del suo sacco è sbagliatissimo. In una vecchia intervista il produttore di Demon's Souls dice:
"Initially the plan was to have the game feature perma-death, where death of the character would result in the save file being erased. We all agreed we probably went too far with that."
Dice "Noi", non "Miyazaki". La scelta è stata presa dal team non dal singolo.
L'autore inoltre può sbagliare, può pensare di imporre una certa esperienza ma nei fatti riuscire a realizzarne una completamente diversa. Sempre nella stessa intervista Miyazaki dice:
"It is not a game in which you die a lot, but an experience that keeps you very aware of your surroundings and tests your knowledge of its contents and system constantly."
L'oggettività della difficoltà
La percezione della difficoltà sullo stesso gioco è un concetto soggettivo che varia da persona a persona. Sabaku e un campione eSport di Starcraft, che non ha mai toccato un Souls e passa il suo tempo quasi solo sugli strategici, nella loro prima partita a Sekiro non hanno la stessa esperienza e la stessa percezione della difficoltà. Io che gioco costantemente da quando ho 7-8 anni e una persona che gioca da 7-8 anni idem. Qual è quindi la giusta percezione imposta dall'autore? Quale il giusto bilanciamento?
Prendo in prestito un commento di Ciel:
"Se la difficoltà percepita è il risultato del rapporto tra design e abilità individuale, ed essendo l'abilità individuale variabile, per mantenere il rapporto deve variare anche il design"
Certamente è più facile a dirsi che a farsi, ma non è difficile immaginare che in moltissimi casi un selettore potrebbe mantenere una maggior costanza nella percezione della difficoltà tra giocatori diversi rispetto a un design granitico e uguale per tutti. Per visualizzare il concetto possiamo usare l'immagine dei tre ragazzi che vogliono vedere la partita di baseball oltre il muretto: per stare tutti alla stessa altezza devono usare un numero di casse diverso come rialzo.
L'esperienza vera (o giusta)
Per quanto sia facile immaginare il modo "giusto" di giocare a un Souls nella realtà questo modo è relativamente di nicchia anche senza selettore della difficoltà. Una volta che l'autore la pubblica, l'opera è nelle mani del fruitore, libero di usarla come meglio crede. Per farla breve in un mondo in cui esistono wiki, guide, walkthrough e mod l'esperienza vera è comunque mischiata e "inquinata" da altre esperienze meno vere ma comunque possibili, legittime e molto diffuse. Le wiki vanno contro la visione dell'autore quindi diventa lecito pensare di bandirle? E le mod?
Ma poi, cosa significa "esperienza vera"?
Credo che tutti dovremmo essere d'accordo che anche la veste grafica e le prestazioni tecniche fanno parte della visione dell'autore e hanno un forte impatto sull'esperienza. Ma quale veste grafica, quali prestazioni? Qual è la vera esperienza di Sekiro dal punto di vista visivo, quella su PS4, su PC o su Xbox? Con quali texture, quali settaggi delle ombre, a che risoluzione e a che framerate? Se la costruzione dell'ambientazione passa anche attraverso la qualità grafica e se queste rispondono al volere dell'autore per conferire "l'esperienza vera", poter ridurre i settaggi e avere diverse versioni su console non va contro la volontà dell'autore? Giocare a 20fps, 30fps o 60fps porta alla stessa unica esperienza autoriale?
Il limite tra autorialità e accessibilità
La Divina Commedia è scritta in italiano con precise scelte lessicali decise dell'autore ma comunque viene tradotta in altre lingue. Un gioco horror utilizza il buio per spaventare ma comunque possiamo modificarne la luminosità. I settaggi grafici, come già detto, sono lo standard nell'industria e recentemente sono arrivati anche su console. Insomma è pieno zeppo di esempi di compromesso tra autorialità e accessibilità e non solo nel mondo dei videogiochi. Ma quindi dove è giusto mettere il limite fra ciò che è lecito concedere e ciò che invece è impensabile e "anti-autoriale"? Perché aumentare l'accessibilità per far girare il gioco su più macchine (e quindi venderlo di più), contro la visione dell'autore, è accettato, mentre aumentarla col selettore della difficoltà è un sacrilegio? Perché tradurre Dante per farlo leggere a tutti (e quindi vendere di più) è accettato, ma "tradurre" la difficoltà di Miyazaki è una bestemmia? Ma sopratutto, perché di tutte le lotte contro il compromesso commerciale scegliamo di combattere proprio quella meno impattante e più inclusiva? Un selettore che mette in chiaro qual è il vero bilanciamento del gioco, spiegando che un'eventuale easy mode è fortemente sconsigliata, non tocca in nessun modo né l'esperienza degli appassionati né l'autore. La sua visione è una e viene sottolineato, ma comunque si permette, a chi è eccessivamente schiacciato dalla difficoltà, di giocare consapevolmente nel modo "sbagliato" e più semplice. Possibilità già percorribile, con impatto e risultati diversi, grazie, appunto, alle guide e le wiki.
Insomma tra soggettività, compromessi e autorialità credo che il problema della difficoltà nei Souls sia molto complesso e che difendere un supposto e vago capriccio dell'autore non sia la giusta soluzione.


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